Il fallimento non interrompe il processo di Cassazione

In caso di fallimento il processo di regola si interrompe automaticamente e la legittimazione processuale passa la curatore ai sensi della norma fallimentare (art. 43, R.d. 262/42).

Gli effetti processuali del fallimento sono diversi, però, a seconda del tipo di giudizio instaurato.

Di seguito i 3 scenari rilevanti.

Nel processo tributario opera una norma speciale, che impone in ogni caso al giudice (dunque anche in caso di fallimento della Parte) di dichiarare l’interruzione del processo e il termine (di sei mesi) per la ripresa dal giudizio decorre dalla dichiarazione del giudice (art. 43, D.lgs. 546/92).

Nel processo civile, in assenza di una norma speciale, la Cassazione ha comunque assunto che il termine (di tre mesi) di cui all’art. 305 c.p.c. per la ripresa del giudizio interrotto dal fallimento decorre da quando “la dichiarazione giudiziale dell’interruzione sia portata a conoscenza di ciascuna parte” (Cass. 12154/2021).

Del tutto diverso è invece lo scenario nel processo di Cassazione: una volta introdotto il giudizio, secondo la Corte, “non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo”, pertanto il fallimento della Parte non comporta alcuna conseguenza sul piano processuale (Cass. 15928/2021).

Ne hanno parlato Dario Augello e Gabriella De Mattia nell’articolo “Il fallimento non interrompe il processo di Cassazione” su Eutekne.

Leggi l’articolo.

Correlati